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sabato 22 dicembre 2018

BUON ANNO 2019 - Buone Feste a TUTTI...e "godiamoci il Ceppo"



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A TUTTI GLI AMICI DEL BLOG: 

A TUTTI VOI VA UNO SPECIALE AUGURIO DI PACE E SERENITA'  E TANTE COSE FRUTTUOSE PER TUTTO  L'ANNO 2019 E QUINDI NON MI RESTA CHE DIRE:

Felice Anno Nuovo a Tutte le Persone con le quali abbiamo condiviso qualche bel momento nella Vita e nel Web.

BUON ANNO con tutto il cuore


MANY MANY THANKS 


e, Dio permettendo, vorremo scoprire tante cose nuove con


 “Passo Lento e Corto” ."think global, act local".

Ad majora, amici

Honest Maverick 
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Cambia tutto per non cambiare niente! Non è VERO. Se ci mettiamo tutta la nostra volontà possono cambiare tante cose. A prescindere da tutto e da tutti, da dove vivi e dove cerchi di darti da fare. Abbiamo voluto, in questo periodo, guardare, scrutare  gli altri e noi stessi. E ricordare momenti belli e lontani. Forse con troppa nostalgia ma senza retorica. E poi abbiamo guardato tanto al nostro Territorio. Alle piccole cose realizzate e a mille altre da realizzare.  E ci siamo accorti di essere anche nel giusto perchè altri agiscono come  vorremmo agire noi.  Perchè quasi tutti teniamo molto alle nostre radici ed al nostro territorio per il quale siamo disposti a quasi tutto. Ci rendiamo molte volte conto delle difficoltà, delle moltissime esigenze, delle aspirazioni che a volte sconfinano con gli aneliti ed i sogni. Siamo però convinti che:

- piccolo è bello;
- migliorare il territorio dove siamo nati è bello;
-lavorare senza secondi fini per l'interesse di tutti e del nostro ambiente è giusto;
-lavorare con unità di intenti con gli amici è appagante;
-lavorare anche per fare, quando possibile, anche un pò di bene agli altri è doveroso.
    
Avremmo altre mille cose da dirci ma ora dobbiamo fare la cosa più importante in questo momento:  fare con sincerità e con animo sereno 

MIGLIORI AUGURI DI BUON NATALE E DI BUONE FESTE A TUTTI.
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GODIAMOCI IL CEPPO!

Sentivo  il mi Babbo parlare con mia madre che il cappone era pronto per il Ceppo, quando molto probabilmente avevamo anche ammazzato il maiale a mezzo con l'altra famiglia vicina.
Mi domandavo sempre perché il Natale i "vecchi" lo chiamavano il Ceppo, ma non avevo mai avuto 
voglia né modo di approfondire. Perché mi pareva bello così. Mi sembrava poesia e magia. A scuola e a dottrina tutti parlavano del Natale e tra persone adulte, non solo da mio padre, si sentiva parlare del Ceppo. Mi sembrava bello perché c'era mistero e partecipazione per una festa che noi ragazzi, non fosse altro che per i cavallucci e i ricciarelli, aspettavano con tanta ansia.   
Poi crescendo cominciavamo a capire quanto i riti pagani si confondessero o meglio si aggiungessero alle feste religiose dando ancora più importanza alla grande Festa la cui attesa metteva nell'aria un miscuglio di strana allegria, apprensione per aver dimenticato di fare di tutto affinché il Ceppo arrivasse anche da noi  e qualcosa di magico che si diffondeva nell' aria e nel bosco di lecci e polloneti.
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https://www.toscanaoggi.it/Cultura-Societa/Natale-la-tradizione-del-Ceppo
Trattandosi di una tradizione antichissima il Ceppo aveva cominciato già molto tempo prima del suo repentino pensionamento, a distaccarsi dalla prima identificazione: il grosso ciocco, spesso il nodo delle radici che partono dalla testa del tronco d'un albero abbattuto.
La sua prima determinazione fu naturalmente questa. Nelle campagne il capoccia teneva d'occhio durante l'anno la grandezza e la natura dei ceppi che venivano estratti dai campi, dai boschi, e sceglieva, mettendolo ad asciugare, quello più adatto per andare nel camino le sera della vigilia di Natale e bruciare davanti alla famiglia riunita nella veglia.
Per ceppo s'intende propriamente quel blocco che sta a fior di terra e sotto questa, dove si annodano le radici e da dove il fusto della pianta si eleva verso il cielo. Grande simbolo di unità, nodo di forze, emblema della famiglia con i polloni e virgulti, immagine della vita per la forza e capacità di collegare due mondi. Si capisce che poi, nelle varie situazioni era un semplice ciocco di legno, un pezzo di tronco.
In certi luoghi il Ceppo doveva durare fino a tutto il giorno seguente, ovvero anche per tutto Santo Stefano. In altri entrava anche nella ritualità magico-familiare del Capodanno e doveva durare, bruciando ininterrottamente, fino alla Befana. Altri tempi, altri camini e altri ceppi. Ho visto verso la metà del secolo scorso portarne uno nel focolare di una casa, che a malapena quattro uomini riuscivano a spostare e lo vidi bruciare davvero fino alla Befana.
In città le cose erano più complicate, ma il ciocco, piccolo o grande ardeva comunque la notte di Natale in ogni casa. Non era solo una cosa fisica, adatta a scaldare nel freddo dell'inverno come una stagna di cherosene, ma molto di più: era il simbolo dell'unione del cielo e della terra, con la luce; dell'unione e dell'amore della famiglia con il fuoco e, dal suo essere polarità di forze benefiche, emanazione di flussi positivi nella casa e nella terra.
Intanto non era posto semplicemente sul fuoco e incendiato, ma nel periodo di massimo splendore della sua carriera, veniva benedetto, ornato, cosparso di vino, o di grasso, burro e acceso dal capo di casa. I riti, gli usi e anche le superstizioni che sono legati a questo pezzo di legno fanno pensare che le sue ascendenze siano molto lontane, forse risale al paganesimo e anche al di là di quello; non certo come uso natalizio, ma come un fuoco sacro legato alle credenze e ai riti del solstizio d'inverno, in collegamento diretto col sole, nel segno della luce e del fuoco, con le forze telluriche nel segno della natura stessa della pianta, e con il mondo dei morti, nel segno della cenere e delle credenze pagane delle anime abitatrici delle piante e delle realtà naturali.
A questa nuova entità che veniva ad abitare per poco la casa, si collegavano usanze varie, tra le quali la più conosciuta e vistosa era quella di portare doni ai bambini. Questi regali (si trattava di cose semplici, come dolci, frutta, modesti giocattoli) si potevano disporre sopra il Ceppo stesso nella mezzanotte del Natale, se le dimensioni lo permettevano, oppure si facevano cadere in vari modi o dal camino o da qualche altra apertura.
I bambini, prima d'arrivare al momento di avere i doni, andavano in un'altra stanza, oppure venivano bendati e recitavano una preghiera, detta L'Avemmaria del Ceppo, che dice:
Ave Maria del Ceppo,
Angelo benedetto!
L'Angelo mi rispose
Ceppo mio bello, portami tante cose!
Il Ceppo parlava, rispondeva, si comportava come una sorta di spirito e da qui è venuta la sua trasformazione in entità eterea antropomorfa, fino a prendere le forme concrete di fantoccio, e quindi quelle, trovate forse per la strada, di Babbo Natale. Per semplificare l'offerta dei doni, si passò alla sua stilizzazione, prendendo le linee essenziali e riducendolo a una piramide, di forma all'incirca regolare per i più comuni; di forma invece più allungata quasi monumentale per quelli di lusso. Fatto con assicelle di legno, più piccolo o grande secondo la necessità e la ricchezza della famiglia, aveva delle cornici orizzontali che correvano lungo le facce, tagliandolo in ripiani, in modo che i doni, postivi sopra, non scivolassero e si presentassero ben sistemati ed esposti. A Firenze, nei giorni precedenti il Natale, si apriva il mercato dei ceppi che si teneva sotto le Logge del Porcellino e vi si trovavano dolci, regali, e vari ingredienti per allestirlo.
Qualcuno vuole che con questa forma si sia ripresa l'immagine della capannuccia passando a una ulteriore sintesi dei simboli. Il fatto che in molti di queste strutture, sulla cornice inferiore, si collocasse il Bambinello, circondato di pastori e angeli, lo confermerebbe.
Era di solito ben ornato, secondo la ricchezza del contesto: coperto di stoffa, con festoni, nappe e ciondoli, fiocchi multicolori, pinoli dipinti infilati a corona nello spago. Qua e là c'erano pine, ricoperte di carta argentata o colorate, e in cima, stava la più grossa, coperta d'oro. Talvolta sulla cuspide, invece della pina, veniva posto un pupazzo, una figura umana, di pezza o intagliata. L'apparato stava in mezzo alla tavola più grande della casa o del salotto, con i bambini che gli ronzavano intorno adocchiando i dolci.
In certi posti il Ceppo rimaneva ornato, ma vuoto, poi verso mezzanotte spariva e durante la cena, o al suono dei dodici tocchi, si sentiva bussare alla porta.
– Chi è? chiedeva la mamma.
– Il Ceppo, si sentiva rispondere.
– Grazie, venite pure.
Quando la porta si apriva si trovava il Ceppo ricolmo di regali, che veniva portato trionfalmente sulla tavola.
Già il passaggio dalla cosa alla persona si era verificata anche nelle campagne, dove si chiamava con tale nome un fantoccio di pezza, ripieno di paglia, con un grosso cesto vuoto infilato nel braccio: veniva calato dalla finestra con una fune, lasciandolo nel buio della notte, mentre tutti restavano in attesa. Durante la cena suonavano alla porta.
– Chi è?
– Il Ceppo.
Si tirava su la corda e appariva il Ceppo-fantoccio col canestro pieno di regali, che veniva accolto con festa, canti e applausi.
Non si possono elencare le numerose e varie forme, i riti, le cerimonie con cui veniva celebrato il Ceppo nelle varie località, tanto sono diverse, originali, curiose e poco inclini a seguire qualcosa di più d'un semplice canovaccio.
Il Ceppo e i ceppi 
Già a Firenze si sa che c'era l'uso, nelle case più ricche, di fare più ceppi: uno per ogni bambino che si trovava nella famiglia. Ciò mostra un po' d'incertezza nella linea tradizionale: l'oggetto artefatto ha staccato la sua immagine dall'origine e cominciano le contraddizioni: un simbolo di unità si frantuma in tante icone. Vi sono testimonianze che alla fine dell'Ottocento in Toscana il Ceppo ormai veniva impersonato da un omone mascherato con una testa di grandezza smisurata, con una capigliatura folta e arruffata: quando i bambini lo battevano con dei bastoncini, faceva cadere su di loro dolci e regali. È una scena che ricorda la bacchiatura di un albero da frutto e da qui all'albero di Natale il passo è breve. Inoltre una delle ritualità seguite per avere i doni era anche quella più comune: il padre, o il nonno, battevano sul Ceppo un bastoncino dicendo:
– Ed ora, cosa cade per Pierino?
E subito cadeva il dono destinato a quel bimbo.
– E ora, cosa cade per Paolo?
E subito cadeva il regalo per Paolo.
Questo si diceva battere il Ceppo, un'altra operazione che ricorda ancora l'albero.
Altre forme, sempre derivate da quell'iniziale prototipo, si avevano in diverse zone. A Siena era un piccolo carretto con sopra una piccola botticella, con un paio di buoi al traino e un contadino baffuto che guidava le bestie. Era realizzato rozzamente, con legno intagliato col coltello: il carro veniva ornato, riempito di doni e faceva la funzione del Ceppo piramidale. La figura si ritrova ancora sui mercati campagnoli, o come soprammobile nelle case, ma ormai quasi nessuno immagina che possa essere un ceppo.
La presenza delle bestie ci riporta a un'altra tradizione della notte di Natale, nella quale, gli animali parlano tra loro, forse ricordando il bue e l'asino che ricevettero Cristo nella loro mangiatoia.

Altro rito misterioso è quello di versare vino, miele, grasso, latte sul Ceppo, porvi sopra candele accese e fiori come su un sepolcro pagano.
Dunque inconsciamente si sapeva o, si credeva coscientemente, che quando il Ceppo era acceso gli antenati visitavano la casa portando bene ai discendenti, cosa materializzata nei doni. Le ceneri erano quelle dei trapassati e contenevano le loro forze, così come le scintille stimolate a correre per la campagna. Nel momento in cui si riaccendevano nei pericoli i tizzoni, si richiamavano le forze degli scomparsi in soccorso della famiglia e le schegge conservavano le anime, come gli dei del focolare nella casa pagana."
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Una condizione per l'intera Umanità: quando nasciamo ci appoggiamo ai nostri genitori per una miriade di domande: babbo cos'è quella cosa e perchè l'altra funziona così?. E le conoscenze passano di padre in figlio in una lunga catena di piccoli apprendimenti, esperienze e conoscenze trasmesse. Poi ci rivolgiamo al Babbo per chiedere qualcosa che abbiamo sempre desiderato: vorrei tanto un camioncino di legno (richiesta di cinquant'anni fà) o vorrei la Playstation (richiesta di oggi). Una volta ci dicevano sempre, forse per farci più apprezzare, il regalo ricevuto che molti bambini non si potevano permettere tali cose; anche oggi è la stessa cosa e forse i numeri di coloro che vorrebbero come regalo una ciotola di riso o la doppia razione sono di molto incrementati. Forse converrebbe sempre ricordarli ed invece ci si dimentica troppo spesso di loro anche nelle sedi dove ti aspetteresti di sentirtelo ricordare più spesso. Ma veniamo alla nostra Bellissima Festa ed ai luoghi magici che essa ci ricorda. Uno dei luoghi magici è la Patria di Babbo Natale dove tutto rivive nella gioia ma più che altro nella serenità e nella semplicità campagnola di un Babbo Natale con la casetta di legno, il carro o la slitta trainata dalle renne ed un magico cielo stellato. Che Babbo Natale ci porti il regalo più bello:tanta serenità condita di semplicità. Costa poco e farebbe bene anche alla salute.
Per visitare il mondo magico di babbo Natale click here. Santa Clauss Village







sabato 8 dicembre 2018

Quei freddi Natale pieni di speranza

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Nelle nostre case di allora si sentiva bene arrivare il mese di Ottobre.
Nei pomeriggi e la sera quando ci dovevamo fermare a fare i compiti che il Maestro ci aveva dato da fare si percepiva subito la differenza di temperatura. Le nostre case offrivano valide “contromisure” contro il freddo incombente. Intanto c’era la stufa a legna che rimaneva sempre accesa con il bricco dell’acqua fumante e poi c’era sempre il camino da accendere anche se sembrava presto davvero per farlo. Quello che non ci impensieriva per niente era la notte, quando dovevamo andare a letto perché allora si poteva mettere il fuoco a letto ed era un vero piacere poter godere di quel calduccio che entrava letteralmente nelle ossa e che si faceva stare bene tutta la notte. Ma poi il mese di Ottobre ci dava tante cose. Se le cose andavano bene nascevano i funghi con le ricadute positive sia sul lato delle finanze familiari che per il divertimento di trovarli e poi le castagne c’erano di sicuro. E quindi anche il desco di arricchiva parecchio con qualche porcino in gratella, il castagnaccio e le caldarroste, vere specialità della nostra zona. Ma il mese di Ottobre ci dava anche parecchia allegria nonostante le foglie degli alberi ingiallissero, le giornate accorciassero e tutto diventasse un  po’ più grigio. Allegria e speranza perché ci si avvicinava al Natale. E quella era davvero la festa più grande dell’Anno. Ci si preparava per tempo. Intanto per cercare nel bosco qualche alberello che veniva su bene per poi sceglierlo ed "eleggerlo" come il nostro albero di Natale. La scelta era difficile perché non tutti gli alberi erano adatti per essere “eletti” a tanto onore e poi c’era da scegliere la specie: a volte trovavamo qualche bel ginepro che dava sempre una bella sensazione natalizia specialmente di mattina quando era ricoperto di rugiada. Poi c’era anche qualche pino che immaginavamo già adornato nel modesto salotto di casa. Ma quello che andavamo cercando sempre e che non trovavamo quasi mai era l’albero perfetto di agrifoglio che sognavamo anche la notte nell’angolo del salotto di lato al caminetto. Il mese di Novembre si avviava al termine quando si andava a controllare anche quelle vecchie scatole polveroso che contenevano i modesti addobbi per l’albero: le poche palline di vetro molto colorate e che dovevano essere maneggiate con molta cura perché si rompevano molto facilmente e poi qualche filo d’oro e d’argento con cui avvolgere quell’albero che immaginavamo sempre più bello della  realtà e che era ancora nel bosco. Già a scuola si era entrati nel clima natalizio. Ci si preparava anche alla dottrina facendo le prove con qualche canzoncina natalizia, prima di entrare nel vero e proprio clima Natalizio. A casa la sera poi si incominciava a pensare alla letterina da scrivere a Babbo Natale e da mettere sotto l’albero che tanto poi lui sarebbe arrivato qualche sera prima a prenderla. Il freddo, in quegli anni, si faceva sempre più pungente e questo significava che il Natale di avvicinava sempre di più. Tutto il Paese sembrava che fosse molto più movimentato. I grandi  giocavano a “forma” con il panpepato e si faceva un po’ più tardi. E poi la sera incominciavano le “novene”. Il clima non era più freddo perché si sentiva una specie di calore che stava arrivando. In casa si vedevano già le prime provviste per il pranzo di Natale: qualche pollo già pulito messo in dispensa ed anche qualche coniglio che aveva fatto la stessa fine. Tutto sembrava più bello: i calzoni di fustagno sembravano di velluto, la bicicletta sembrava un motorino. E qualche addobbo si vedeva di già nelle botteghe. E il giorno dopo era la domenica prima di Natale. Si andava nel bosco la mattina presto e si tagliava finalmente il nostro Albero e lo prendevano con cura per il gambo per portarlo a casa. Il freddo si faceva sentire perché c’era tanta guazza ed i piedi e le mani facevano male. Ma non si sentiva più niente: s’era vicino a Natale. Il “Ceppo” si stava preoccupando per noi per trovarci qualche regalo; avevamo l’albero che ci piaceva; oggi si mangiava bene perché s’era vicino a Natale; stasera si andava al Circolo a prendere un frou-frou un bicchiere di spuma e a vedere “Braccobaldo Show”. Ci veniva solo da pensare: ”ma quanto è bella questa vita”....."e,...questa atmosfera di Natale in un ambiente semplice ma completo". 
Honest Maverick

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domenica 11 novembre 2018

In chiave di Basso o di Violino?

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In chiave di Basso o
 di Violino?

Quando fu inaugurato il Circolo  fu inaugurata anche la sua Sala da Ballo. Una delle poche belle sale da ballo, al tempo, adeguate per capienza anche perché fino ad allora le serate da ballo venivano tenute nelle case private di contadini  che avevano anche qualche stanza abbastanza capiente. 
Erano belle le feste da ballo nelle case dei contadini; io me le ricordo abbastanza bene anche se ero molto piccolo. 
Solitamente c'era solo una persona che suonava la fisarmonica, quasi sempre autodidatta, che sapeva la musica ad orecchio o poco più. Sulla tavola molta grossa, ma appoggiata in un angolo c'erano i cenci o i piccoli ciambelloni chiamati "frati", anche perché queste feste solitamente si facevano per carnevale. Perchè allora il tempo era scansionato perfettamente. Quando era Carnevale qualche concessione in più. Poi c'era la  Quaresima ed allora erano dolori.   
Poi ci un piccolo progresso  e fu creata la Casa del Popolo e con lei la Sala da Ballo. 
Ma la nuova sala da ballo ebbe sin da subito un grande successo con la gente che non riusciva neppure ad entrare ed aspettava nelle scale esterne. L’orchestra era del Paese stesso, ma non era un’orchestra qualunque. L’aveva creata in tutto e per tutto il maestro Franco, nativo del paese nei primi anni del Novecento, che la musica conosceva molto bene  perché era stato anche nella banda dell’esercito ma aveva preso lezioni private anche  a Siena. Suonava bene il violino ma conosceva anche tanti altri strumenti ed aveva diffuso la conoscenza della musica ad alcuni allievi che ovviamente non avevano raggiunto i suoi livelli tra cui il fratello Gelsomino che aveva indirizzato  alla conoscenza dei “bassi” e ad Aldo Valacchi  chitarrista provetto e a diversi altri paesani.
Orchestrali molto eclettici perché, all’occasione, si trasformavano immediatamente  in vera e propria Banda di Paese con tanto di “Basso Tuba” e di tutti i “fiati” con un vasto repertorio leggero e persino liturgico.
Sbagliare anche un solo diesis o un bemolle era severamente vietato. Bisognava suonare bene anche perché non esistevano gli effetti elettronici di ora. Solo i “suoni” veri che i vari strumenti riuscivano a produrre.
 E poi essere rigorosi era obbligatorio come prescrive  la legge “vigente” e “sottointesa” del nostro paese.   
Ero ancora alle elementari quando in casa si facevano i primi solfeggi con la supervisione del mi' babbo sulla sorella che studiava musica per le medie ed io che ero curiosissimo di come da quella strana gestualità con le mani si potesse raggiungere la melodia e le  bellissime canzoni. Avevo chiesto con passione che qualcuno mi insegnasse la musica, ma c'era un ordine tacito nella famiglia. Dovevo impegnarmi in altre cose e c'era poco tempo. La musica doveva essere qualcosa da fare nel tempo libero. C'erano mille cose molto più pratiche a cui pensare; era un'epoca molto diversa in cui si dava molto importanza alle cose di tutti i giorni, quelle materiali. I sogni dell'anima che la musica riusciva a produrre erano mal sopportati, come tutti i "voli" pindarici che non avevano utilità pratica. 
Ma soprattutto  c'era sempre quel grande dilemma: in chiave di basso o di violino? 
 Honest Maverick
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sabato 13 ottobre 2018

Lustrini in superficie

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La nostra  epoca si caratterizza spesso, tra le altre cose, anche da una prevalenza di "lustrini" sui contenuti. 
Un pò di "belle epoque" casereccia dove, a volte, esce fuori un pò di superficialità e di discorsi basati sul sentito dire. e soprattutto sul mancato approfondimento.  E questa è una caratteristica ormai  piuttosto diffusa.
 A questo proposito, di recente, ho ascoltato una trasmissione in cui un sociologo lamentava questa mancanza di "specializzazione" e di "vera expertise" anche  in alcuni programmi televisivi in cui in un'ora e  mezzo si discutono 10 argomenti , anche molto diversi tra loro, sempre con gli stessi interlocutori. I quali, ovviamente, non potendo conoscere approfonditamente tutte le materie si mantengono, quando va bene, in un ambito molto "generico".  
Questo studioso dava la colpa di questa mancanza di approfondimento alla scuola in generale ed alla televisione. Aggiungerei anche agli altri  mezzi di comunicazione compreso il web. E poi non credo che si possa dare la responsabilità solo a questi soggetti, ma anche alla fretta di "arrivare", alla voglia di prevaricare sempre l'altro che pensiamo, molto spesso erroneamente, che possa dare il proprio consenso a quello che esprimiamo. E questo riguarda tutti ed  anche me e il mio blog e i miei post. A volte penso che  siano persone molto gentili quelle che li leggono. Ma veramente pochi che approvano i modesti contenuti che ci sono  e penso  che  qualcuno possa domandarsi le ragioni che mi spingono a scrivere.
Quanto ai lustrini non sono stati mai il mio forte. C'ho rinunciato da sempre e, a volte, mi è costato anche parecchio. 
Ma per finire  posso svelare  cosa  mi ha spinto e mi spinge a scrivere: forse la mancanza di occasioni dove poter parlare liberamente, per poter esprimere il proprio sentimento , il proprio pensiero anche se sono cosciente che non è giusto,  non è di "moda". Una sfogo al mio sentimento che reclama: "un angolino, uno speaker corner, per favore, anche "posticcio".
E questo il Web, per ora, ce lo permette a tutti.

Honest Maverick
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domenica 2 settembre 2018

In cerca di infinito.

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https://ninofezzacinereporter.blogspot.it/2016/12/grazie-dottore-ma-io-sono-gia-morta-15.html

Il senso del vivere si confronta ogni giorno con le proprie prospettive, aneliti ed aspirazioni. Ma non solo. Per vivere bene occorrono tanti fattori che quando sono tutti positivi contemporaneamente potremmo accendere sempre un candela di ringraziamento: salute, lavoro, ed una dimora dove abitare decorosamente e non sentirsi soli. Il vivere bene è quindi un piccolo miracolo che andrebbe preservato con tutte le nostre forze. Poi però c'è sempre qualche fattore che non va per il verso giusto ed allora può succedere una frattura insanabile : continuare a "respirare" e camminare e mangiare ma sentirsi "non vivi" dentro. Come sentire che  il susseguirsi dei giorni non ha più senso  E questo può capitare in mille circostanze come nel link di cui sopra che è molto bello ed emblematico di quello che  l'animo umano riesce a nascondere e a sopportare. Eppure bisognerebbe ringraziare ogni giorno che vediamo nascere e per ogni tramonto a cui riusciamo ad assistere, prescindendo da tutto quello che ci è capitato e quello che verrà. E considerarci, come siamo, dei "miracoli" viventi, con un apparato molto complicato e veramente sorprendente, con un corpo perfetto in ogni sua forma ed un organo fenomenale  del quale non si conosce ancora tutto. Il nostro cervello è un organo molto complesso che racchiude centomiliardi di cellule nervose e le cui capacità sono molto superiori a computer molto avanzati. Siamo delle splendide creature ma non siamo consapevoli di esserlo. Siamo alla ricerca sempre di qualcosa: a volte alla ricerca di cose per noi stessi, a volte per qualche altro e , a volte, alla ricerca di qualcosa di indefinito. Qualcosa di indefinito che può assomigliare all'infinito perché è solo questa la dimensione che non riusciamo a comprendere. Abbiamo sempre sete di infinito, molte volte inconsapevolmente ma prendiamo sempre sentieri sbagliati o meglio quelli che riteniamo i più giusti in quel momento. Ma il nostro anelito di infinito non viene mai soddisfatto del tutto. A volte lo intuiamo per un momento ma poi ci sfugge nell'aria e lo immaginiamo come se salisse in alto, tanto in alto da sfuggire alla nostra vista. E pensare che avremmo voglia di stare insieme, in un momento, a tutte le persone care che abbiamo conosciuto. Solo con loro, in un solo momento, per non lasciarci più. In un grande abbraccio sereno per soddisfare in pieno la nostra voglia di infinito.
Honest Maverick   
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