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sabato 18 novembre 2023

Il “vecchio” Gran Premio della Montagnola

 





Il “vecchio” Gran Premio della Montagnola

Ero molto piccolo ma lo ricordo ancora. Almeno nelle fasi salienti da spettatore appassionato ed anche  interessato per la mia grande passione per i carretti.

Erano comunque un’atmosfera ed un ambiente  completamente diversi;  la strada provinciale era ancora a sterro . Facevamo una continua “amicizia” con la polvere e  tutto  era più spartano, spontaneo  ed improvvisato.

Ma in un certo periodo dell’anno si sentiva crescere la frenesia della competizione; una sorta di rinnovato spirito agonistico e con i pochi mezzi di allora i corridori si mettevano all’opera per costruire i carretti migliori per correre  il Grand Prix.

Era il mondo in cui le auto erano poche e quelle poche sapevano ancora di antico con le borchie cromate e le ruote rinchiuse in parafanghi enormi e bombati.

Il  Gran premio si stava avvicinando. Occorreva  quindi che i partecipanti si costruissero il carretto nel migliore dei modi  con lo scarso  materiale a disposizione. I sistemi di costruzione potevano essere molto diversi: c’erano quelli molto semplici dove tra il fusello e la ruota non esisteva niente e quindi la poca lubrificazione veniva fatta con la sugna e,  c’erano  quelli  privilegiati che, con l’aiuto di qualche fabbro ferraio o qualche falegname predisponevano un “attrezzo” molto più sofisticato con i cuscinetti e qualcuno si azzardava anche a mettere un volante improvvisato.

Gli altri, per sterzare, avevano a disposizione una fune legata,  in modo primitivo, direttamente al fusello.

E poi c’erano  i grandi problemi del freno e delle ruote.  Non mi dilungherò molto sulle molteplici soluzioni che, pur nelle ristrettezze dei tempi,  facevano ricorso alle migliori interpretazioni della fantasia. Ad esempio le ruote potevano venire gommate con i vecchi copertoni delle biciclette oppure lasciati “nature”o, per i più dotati di disponibilità, gommate anche se spesso di gomma dura. Ma  c’erano mille soluzioni, da quelle “professional” dotate di scheletro e raggi,  a quelli “naif” ricavate da coperchi di truciolato che servivano per i grossi  contenitori di marmellata  ed incollati a più strati per ottenerne uno spessore adeguato.

Era il Gran Premio più ecologico al mondo; l’unico propulsore era la forza d’inerzia della discesa nel percorso classico dagli Incrociati agli Abeti  e dove la discesa non era abbastanza accentuata c’erano l’aiuto delle gambe del pilota  che poteva aiutare la velocità del carretto. E poi nel percorso  non c’era un grammo di bitume ma solo breccia, terra  bianca e fossette.  Si dava cura anche alla sicurezza; infatti tutti i concorrenti dovevano dotarsi di tuta (normalmente la tuta che qualche tempo prima serviva per la trebbiatura o i lavori agricoli) ed il casco ( normalmente di semplice latta realizzato a mano nelle situazioni migliori) oppure nei casi più “naif” ricavati da una bella zucca gialla (quelle di Halloween) spaccata a metà.

E poi c’era la corsa. Molta gente lungo la strada, genitori e ragazzi, adolescenti e persone anziane a commentare  e a scommettere come si sarebbe svolta la gara e chi poteva arrivare per  primo  nel punto  dove eravamo. Piccole scommesse e commenti genuini da gente di paese come erano anche i concorrenti anche se qualcuno era di fuori.

E la maggior folla era alla curva della Piaggetta del Sorbino, quella più pericolosa quasi a 90 gradi. Si aspettava fiduciosi perché si sentivano le voci in lontananza. Il percorso  era abbastanza lungo e poi finalmente arrivavano i primi carretti  che erano (o sembravano) tanto veloci. I piloti erano i nostri eroi e sognavamo di crescere in fretta per partecipare anche noi . Eravamo eccitati e felici mentre tornavamo a casa. In lontananza si sentivano le grida delle persone che erano al traguardo dove le “Autorità di  Paese” stavano agitando la bandiera a scacchi. Che, per quello  che mi sovviene, era una semplice bandiera ricavata da uno scampolo  di stoffa avanzato ini una delle diverse “sartorie”  del nostro  paesello, polveroso ma sereno. Tornavamo a casa  mentre le campane della  Chiesa suonavano l’ora del Tramonto. Il Gran Premio era finito ma la speranza, le aspettative ed i sogni  sulla nostra vita  erano molto aumentate.  

Percorso di vita molto strano il nostro: sentivamo tanto “calore” quando fuori c’era  “freddo “ e sentiamo tanto  “gelo”, ora, quando fuori è tutto “luci e calore”.  Forse qualcuno dovrebbe spiegarci il perché.

Ad majora.





 

 

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