Il “vecchio” Gran Premio della
Montagnola
Ero molto piccolo ma lo ricordo
ancora. Almeno nelle fasi salienti da spettatore appassionato ed anche interessato per la mia grande passione per i
carretti.
Erano comunque un’atmosfera ed un
ambiente completamente diversi; la strada provinciale era ancora a sterro . Facevamo
una continua “amicizia” con la polvere e
tutto era più spartano,
spontaneo ed improvvisato.
Ma in un certo periodo dell’anno
si sentiva crescere la frenesia della competizione; una sorta di rinnovato
spirito agonistico e con i pochi mezzi di allora i corridori si mettevano
all’opera per costruire i carretti migliori per correre il Grand Prix.
Era il mondo in cui le auto erano
poche e quelle poche sapevano ancora di antico con le borchie cromate e le
ruote rinchiuse in parafanghi enormi e bombati.
Il Gran premio si stava avvicinando. Occorreva quindi che i partecipanti si costruissero il
carretto nel migliore dei modi con lo
scarso materiale a disposizione. I
sistemi di costruzione potevano essere molto diversi: c’erano quelli molto
semplici dove tra il fusello e la ruota non esisteva niente e quindi la poca
lubrificazione veniva fatta con la sugna e,
c’erano quelli privilegiati che, con l’aiuto di qualche
fabbro ferraio o qualche falegname predisponevano un “attrezzo” molto più
sofisticato con i cuscinetti e qualcuno si azzardava anche a mettere un volante
improvvisato.
Gli altri, per sterzare, avevano
a disposizione una fune legata, in modo
primitivo, direttamente al fusello.
E poi c’erano i grandi problemi del freno e delle ruote. Non mi dilungherò molto sulle molteplici
soluzioni che, pur nelle ristrettezze dei tempi, facevano ricorso alle migliori interpretazioni
della fantasia. Ad esempio le ruote potevano venire gommate con i vecchi
copertoni delle biciclette oppure lasciati “nature”o, per i più dotati di
disponibilità, gommate anche se spesso di gomma dura. Ma c’erano mille soluzioni, da quelle
“professional” dotate di scheletro e raggi,
a quelli “naif” ricavate da coperchi di truciolato che servivano per i
grossi contenitori di marmellata ed incollati a più strati per ottenerne uno
spessore adeguato.
Era il Gran Premio più ecologico
al mondo; l’unico propulsore era la forza d’inerzia della discesa nel percorso
classico dagli Incrociati agli Abeti e
dove la discesa non era abbastanza accentuata c’erano l’aiuto delle gambe del pilota
che poteva aiutare la velocità del
carretto. E poi nel percorso non c’era
un grammo di bitume ma solo breccia, terra bianca e fossette. Si dava cura anche alla sicurezza; infatti
tutti i concorrenti dovevano dotarsi di tuta (normalmente la tuta che qualche
tempo prima serviva per la trebbiatura o i lavori agricoli) ed il casco (
normalmente di semplice latta realizzato a mano nelle situazioni migliori)
oppure nei casi più “naif” ricavati da una bella zucca gialla (quelle di
Halloween) spaccata a metà.
E poi c’era la corsa. Molta gente
lungo la strada, genitori e ragazzi, adolescenti e persone anziane a commentare
e a scommettere come si sarebbe svolta
la gara e chi poteva arrivare per primo nel
punto dove eravamo. Piccole scommesse e
commenti genuini da gente di paese come erano anche i concorrenti anche se
qualcuno era di fuori.
E la maggior folla era alla curva
della Piaggetta del Sorbino, quella più pericolosa quasi a 90 gradi. Si
aspettava fiduciosi perché si sentivano le voci in lontananza. Il percorso era abbastanza lungo e poi finalmente
arrivavano i primi carretti che erano (o
sembravano) tanto veloci. I piloti erano i nostri eroi e sognavamo di crescere
in fretta per partecipare anche noi . Eravamo eccitati e felici mentre
tornavamo a casa. In lontananza si sentivano le grida delle persone che erano
al traguardo dove le “Autorità di Paese”
stavano agitando la bandiera a scacchi. Che, per quello che mi sovviene, era una semplice bandiera
ricavata da uno scampolo di stoffa
avanzato ini una delle diverse “sartorie” del nostro paesello, polveroso ma sereno. Tornavamo a
casa mentre le campane della Chiesa suonavano l’ora del Tramonto. Il Gran
Premio era finito ma la speranza, le aspettative ed i sogni sulla nostra vita erano molto aumentate.
Percorso di vita molto strano il
nostro: sentivamo tanto “calore” quando fuori c’era “freddo “ e sentiamo tanto “gelo”, ora,
quando fuori è tutto “luci e calore”. Forse qualcuno dovrebbe spiegarci il perché.
Ad majora.