( 8 settembre 1943) -
==Il proclama letto alla radio==
"Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza."
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Di seguito riportiamo un passo delle condizioni dei soldati italiani 3 mesi dopo - la notte di Natale del 1943.
"...............Era forse la notte del Natale 1943!. Gesù venendo al mondo, ci aveva insegnato a soffrire ed anche noi soffrimmo in quella notte. All'alba la neve era alta circa cinquanta centimetri. Demmo un'occhiata alle nostre scarpe: perdevano le suole: scucii per bene i cintolini dello zaino e legammo con pazienza le scarpe ai piedi. Ritornammo tra i compagni. Ricominciò la marcia. Io e Tullio non eravamo certo i peggio vestiti. Eravamo i soli, però, a non essere nell'elenco consegnato ai partigiani. Seguivamo la colonna stando in coda. Poichè non eravamo comandati da nessuno risparmiammo di portare i feriti... O potenza dell'organizzazione! E dire che potevamo dare una mano agli altri, anche poca, ma darla e l'avremmo data volentieri! Certo stanchezza e sofferenze stavano provocando crisi di riflessi nel capitano e negli ufficiali.Verso sera si ripresentò il solito problema di dove e come passare la notte. Vicino c'era un villaggio. Il capitano, aiutato dal solito partigiano che era con noi, smistò una decina di soldati per casa. Il capitano ci conosceva da tempo e ci voleva bene. Gli avevo fatto capire che pensasse anche a noi. Comparve finalmente un ragazzino ed il capitano ci mandò con lui, così quella notte eravamo a posto. Quel ragazzo tutto lieto e sorridente ci portò a casa sua. Eravamo con altri otto uomini di quelli in regola. Qualcuno chiedeva quanto ci fosse ancora prima di arrivare. Rispondeva sempre "cinque minuti" e proseguiva di buon passo. La stanza in cui fummo accolti era ben riscaldata. Dopo una notte al canile eravamo in una reggia. Alcuni domandarono: "avete pane? patate?granoturco?" ed i padroni di casa: "avete camicie, calze, teli, giacche?". Dialogo sempre uguale, sempre pietoso. Ci furono due soldati che misero insieme 100 lire ed esclamarono: Imamo para! (Abbiamo denaro!).
Da vidimo. Koliko imas? (Vediamo quanto hai?).
Sto lira (cento lire).
L'uomo guardò il denaro all'incerta luce che mandava il fuoco della grossa stufa- l'ambiente non aveva illuminazione- e chiese cosa volessero con quel denaro. "pane e patate" Nema .Prodacu Vam Macku (Niente. Vi venderò il gatto). La moglie andò su tutte le furie, ma l'affare fu concluso. I due soldati uscirono fuori col padrone e l'ignaro povero gatto. Pochi minuti dopo rientrarono con quell'animaletto, non certo ben pasciuto, già fatto a pezzi e smistato in alcune gavette. Furono messe sul fuoco. Chiesero, i due, del sale alla padrona(che fosse stato compreso nel prezzo?) ed essa continuava a ripetere fra sè: " Gli italiani mangiano anche il gatto" e intanto sputacchiava qua e là l'acquolina che le si formava in bocca per lo sgradito effetto, specialmente quando venivano scoperchiate le gavette. Al contrario quell'odore a me non sembrava sgradito, e non avrei fatto complimenti se me ne avessero offerto. Ma era impossibile che quei due invitassero gli altri a cena. Pensate com'era difficile prender sonno mentre gli altri mangiavano! A questa tortura si aggiunse quella dei pidocchi che, per il caldo dell'ambiente,si stavano rianimando. Camminavano su è giù da ogni parte e dal ginocchio in su sentivo uno strano bruciore diverso dal solito formicolio o prurito. Infilai una mano nei pantaloni per cercare , al tatto, di afferrare quei parassiti, cercando di premere le dita sulla carne o i polpastrelli tra loro per schiacciarli. Mi sentii le mani bagnate. Le ritrassi e non fu un'illusione. Le avevo bagnate di sangue. Quei ruvidi pantaloni, a contatto con la pelle delle cosce, marciando, mi avevano escoriato tutta la pelle, formando una piaga crostosa ed umida. Il bruciore aumentava anche per il passaggio che vi facevano quei maledetti.
La marcia ricominciò di buon mattino..................... ". Tratto da "Soli in Montenegro"- Stefano Gestro- Enrico Bedini(Tamari- ed. 1972).
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Oggi è sempre stato per me un giorno da ricordare. Non ero ancora nato, anzi nacqui per sbaglio nove anni dopo, ma ho sempre pensato che almeno quel giorno molti sentissero l'aria come più respirabile, anche se il peggio doveva ancora avvenire.
Nacqui, anche per fortuna e destino, perchè chi mi doveva concepire stava lottando contro la morte in Montenegro.
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E oggi, per fortuna, non devo fare nessun altro commento. E' stato scritto tutto sopra.
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