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martedì 12 gennaio 2010

Un mondo a chilometri zero?


Ci ricordiamo già della "filiera", intesa come il processo di monitoraggio del prodotto agricolo sia di tipo vegetale che animale dal momento della nascita, alla crescita e alla distribuzione fino al consumatore finale. Un processo di garanzia per il consumatore senza il quale non si sapeva da dove provenivano i prodotti, come erano stati lavorati o allevati o coltivati. Il tracciamento doveva avvenire anche a garanzia della qualità degli stessi consumatori e dei produttori che potevano evitare anche fenomeni di concorrenza sleale. Solo che dopo un pò di tempo il termine "filiera" veniva utilizzato dappertutto, nei dibattiti televisivi, nelle discussioni sentimentali, e si è sentito persino citare in economia molto a sproposito per indicare la "filiera" dell'occupazione, della ricchezza prodotta,etc. Poi è quasi sparito e viene utilizzato solo in programmi specializzati che parlano di agricoltura o simili, ma è stato sostituito da un altro termine che viene messo dappertutto quando si parla di mangiare: "il chilometro zero". Allora perchè non spiegare il concetto invece di parlare solo con gli slogans, come se fossimo rimasti tutti senza benzina. Vorrebbe dire che il pranzo prodotto od offerto o consumato è stato ricavato interamente da prodotti locali, del territorio circostante e questo può essere un bene, soprattuto a garanzia del consumatore e dei piccoli produttori locali. Ma è un'esagerazione e provo solo a spiegarlo: il chilometro zero in assoluto non è mai esistito altrimenti non avremmo mai conosciuto il baccalà o l'aringa anche in tempi quando questi cibi erano leccornia da poterci permettere solo la domenica o pochi altri giorni. Eppoi forse bisogna anche pensare che se tutto il mondo fosse a "chilometro zero", anche i consumatori americani consumerebbero solo il vino della California ed i tedeschi l'ottima birra bavarese; l'olio verrebbe consumato solo in Italia, le arance solo in Sicilia, le mele solo in Trentino. Allora è chiaro il concetto: facciamo a chilometri quasi zero(o quasi) quanto più possibile, magari evitando anche quei banconi pieni di ananas al supermercato perchè con noi c'entrano poco. Ma, a parte domandarsi come, poi, quei coltivatori che producono l'ananas potrebbero andare avanti, dovremmo anche domandarci se, in questo concetto portato alle estreme conseguenze, si tornerebbe anche al medioevo quando tutto veniva consumato localmente. Magari reintroducendo anche il baratto (due capponi per un agnello). E dovremmo anche andare molto a piedi o in bicicletta perchè il petrolio non è affatto " a chilometri zero". Quindi perchè spingere le parole e gli "slogan" fino all'estremo?. E soprattutto usiamole solo nel mondo per il quale sono state create, in questo caso il mondo agricolo. Altrimenti, a lungo andare e portando tutto all'estremo, ci troveremmo forse davanti ad un guaio molto serio: si rischierebbe, forse, di ritrovarci tutti anche con il pensiero e le idee "a chilometri zero"?.



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Little is better than nothing.

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