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lunedì 3 agosto 2009

Quello stato d'animo tanto diffuso ma penoso




"La stragrande maggioranza degli scienziati sociali considera la solitudine un tipico inconveniente delle società contemporanee, una disfunzione da correggere, un morbo da debellare. La solitudine significa isolamento, mancanza di affetti e di sostegno concreto e psicologico, disadattamento, magari insufficiente acquisizione delle abilità sociali. Una condizione inadatta all'uomo, che, come diceva Aristotele, è un "animale sociale".

A loro modo hanno ragione. Esiste, oggigiorno, una solitudine subìta. E' quella dell'anziano abbandonato, che non ha le risorse economiche o psicologiche per farcela da solo, che non ha più progetti, che è d'intralcio all'edonismo e al produttivismo familiari. E' quella del giovane che non trova ascolto all'interno della famiglia e che non riesce ad adeguarsi al conformismo del gruppo dei pari, o che deve misurarsi con istituzioni obsolete e con prospettive per il futuro almeno incerte. E' quella della donna, relegata magari in casa in un ruolo che non riconosce come proprio, prigioniera di pregiudizi e di consuetudini ormai estranee al suo modo di sentire.

Può essere quella del lavoratore estromesso precocemente dal mondo produttivo, governato dalle sue ferree leggi, che non trova la solidarietà dei coetanei, che non si sente capito o che magari si colpevolizza ingiustamente.
E' senz'altro quella che riguarda, almeno qualche volta nel corso dell'esistenza ciascuno di noi: ci capita di ritirarci sdegnati e confusi nella solitudine perché a disagio in un mondo che corre velocissimo, incapaci di tener dietro a tutti i cambiamenti, le scadenze, le ideologie, i valori e le norme che si accavallano vorticosamente".

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Ed allora andiamo a vedere anche cosa diceva uno dei maggiori filosofi in merito alla solitudine:

"Il vostro cattivo amore per voi stessi fa della vostra solitudine una prigione" (F. Nietzsche, Also Sprach Zarathustra). Le persone che non si sopportano e soccombono all'apatia e all'inquietudine non appena rimangono sole, le persone che non si piacciono abbastanza per sentirsi bene in compagnia di se stesse, sono prigioniere della mancanza di amore di sé. Inutilmente vagano per il mondo alla ricerca di qualcuno che abbia la chiave per aprire la loro prigione dall'esterno. Cercano nuovi amici, nuovi amori, nuovi analisti, nuove guide ideologiche, maestri, guru, lama che svelino loro il segreto della parola magica e li liberino dall'isolamento. Ma la porta della prigione si apre soltanto dall'interno, e loro stessi sono la chiave che può aprire quella porta. La liberazione dalla prigionia nell'Io inizia con l'amore di sé."
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Personalmente credo che, in una società postindustriale come la nostra, la solitudine sia una condizione penalizzante e le azioni degli uomini parecchie volte sono tese alla ricerca di qualcuno che riempia il vuoto che tutti abbiamo in noi stessi. Trovarsi soli in momenti di difficoltà (malattie, o problematiche di altro tipo) porta tante volte alla disperazione che deve sempre sfociare, però, in un rafforzamento del carattere e della propria forza interiore. A volte purtroppo ci porta anche a fare errori per l'ansia si voler conoscere persone a tutti i costi e, facendo così, si incontrano spesso persone sbagliate.

A volte passiamo per un lungo corridoio, con le pareti bianche, di un edificio (un ospedale, un aereoporto, una stazione ferroviaria) ed incontriamo tante persone sconosciute di tutte le età, sesso, corporatura.
Spesso sono affancedate, corrono, si preoccupano di non perdere un appuntamento od un treno o qualche altra cosa.

E tante volte mi sono chiesto: chissà chi è quella persona e perchè non la rivedrò più?





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