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giovedì 10 giugno 2010

Stupore antico!

Una trasmissione di ieri sera parlava dei problemi dei produttori di latte italiani. Oltre a problemi di tipo economico molto grossi in quanto, ci dicevano, che i costi di produzione superano il costo pagato agli allevatori e mille altri problemi ,tutti validi, ma sui quali, qui, non mi voglio dilungare, voglio invece stupirmi per una cosa molto più semplice, per una semplice ragione di principio, per un percorso a ritroso che abbiamo fatto, forse, anche nei nostri valori più profondi. In tempi dove si parla tanto di filiera corta, di slow food, dove si demonizzano i fast foods come fossero la causa di tutti i mali; in un'epoca dove si parla tanto di biologico, di agricoltura sostenibile, ci si accorge, poi, che il latte che comperiamo mancherebbe di tracciabilità e soprattutto che una buona parte proviene dall'estero e, parrebbe, come ci è stato detto, che sia rigenerato, in parte o qualche volta, speriamo rara, con latte in polvere. E sembrerebbe che tale tipo di latte venga utilizzato, qualche volta, anche per produrre formaggi di media ed anche alta qualità. Non so se tutto questo corrisponda a verità e spero vivamente di no, però mi viene in mente la favola di Pollicino che lasciava i sassolini nel bosco per ritrovare la strada per ritornare a casa. Una volta i sassolini vennero tutti spazzati via dal vento e Pollicino rimase nel bosco. E cioè non sarà che, per caso, sempre alla ricerca di genuinità locali che, in epoche remote, erano il mangiare di tutti i giorni come il lardo pregiato, il prosciutto di cinta senese, la marmellata di mele cotogne, la marmellata di more fresche, il vino prelibato, non sarà mica che abbiamo perso di mira le cose più normali ed importanti per la vita di tutti i giorni. Ad esempio il latte. Il nettare dei bambini. Quella cosa che non veniva negata a nessuno neppure quando io andavo alle elementari, quando c'era tanta miseria, ma la bidella alle dieci e trenta ce ne portava una tazza a tutti, sia ai figli di contadini che di operai, che di impiegati. Proprio a tutti e quel latte sapeva di buono, di genuino, di erba medica fresca. Era lo stesso latte che la sera, verso le cinque, andavamo a prendere da Pasquale che teneva le mucche. Sua madre anziana, lo metteva nel recipiente di alluminio che avevamo portato da casa, con un grosso romaiolo. Lo misurava con cura con quel misurino da mezzo litro e ce lo porgeva con rispetto come una cosa preziosa. Noi, le facevamo svicolare nell'altra mano un moneta "d'oro" da venti lire. Una moneta importante perché con la stessa potevi comprare un fru-fru o un bicchiere di spuma all'appalto. C'è da dire un ultima cosa, anzi due o forse tre: primo, allora la filiera corta esisteva davvero, due il latte era una cosa quasi sacra, come la luna o le ciliege di questa stagione, tre, che eravamo con le pezze nel sedere, ma non perdevamo mai la strada del ritorno, perchè avevamo ben presente da dove venivamo e dove volevamo andare. Ed eravamo molto guardinghi dai venditori di "gabole" che passavano molto spesso anche allora. Ma dei sassolini non avevamo bisogno perché il latte buono lo trovavamo dappertutto. Magari poco e, misurato con il misurino. Ma per la qualità non c'era bisogno di attaccare nessuna etichetta.

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